27.4.04

Il portiere - 1° atto

Da oggi per sei martedì consecutivi "posterò" a puntate uno scritto di Gianni Brera sul ruolo del portiere. Ecco il 1° atto.

Calciatori non si nasce, si diventa: ma portieri si nasce. E forse per questo sostiene qualcuno che il portiere non sia propriamente un calciatore. In effetti, non si serve dei piedi se non per effettuare la rimessa in gioco della palla uscita sul fondo, oppure per disperazione, quando non avrebbe altro modo di respingere.

A giocare in porta bisogna sentirsi vocati: questa convinzione mi sono fatto riandando alle mie prime esperienze giovanili. In porta viene sempre lasciato il più piccolo, che non osa ribellarsi alla condanna, oppure il più lungo, inidoneo a correre come gli altri. Può perfino succedere che un aspirante giocatore attraversi una sorta di periodo mistico - forse dipendente dalla stanchezza psicofisica - e che cerchi da se medesimo un esilio se non addirittura una espiazione fra i pali.

Fenomeni del genere occorrono quando il giocatore non è ancora formato e non ha scelto ne si è specializzato per un ruolo. Ma se uno non è vocato, ben presto si spoetizza. La porta è l'ultimo baluardo; la sua difesa è spesso drammatica. Se non si è portati al sacrificio, direi perfino all'eroismo passivo, in porta non si può riuscire. Tuttavia, l'atteggiamento spirituale non è sufficiente. Se manca il fisico, uno si può pure sentire eroe o martire, ma non ne caverà mai nulla.

La struttura morfologica ideale per giocare in porta è quella del longilineo di alta statura, oppure del dismorfico nel quale siano lunghe le braccia, lungo il tronco e relativamente corte le gambe, così da avere il baricentro basso. Purtroppo, riunire in se le doti del gigante agile e coraggioso è fortuna rarissima: solitamente, chi è agile non è forte né solido, chi è alto ed aitante non è agile.

La statura ottima del portiere è di metri 1,80, con ovvie eccezioni per difetto e per eccesso. Un solo portiere è divenuto famoso pur essendo di insufficiente statura, il cecoslovacco Planicka, alto 1,73. Ma può darsi benissimo che la sua fortuna abbia coinciso con quella d'una intera difesa capace di proteggerlo al meglio. Planicka era agile e coraggioso fino allo stoicismo. Nei mondiali 1938 finì un incontro nonostante avesse sofferto una frattura brachiale. La sua storia costituisce la classica eccezione dalla quale viene confermata la regola.

Ben più numerosi i grandi portieri di alta e perfino altissima statura. Fra i giganti si ricordano Swift, inglese, e Jascin, sovietico, rimasto in attività fin oltre i 40 anni. Swift ebbe meritata fama nell'immediato dopoguerra. A una sua memorabile prestazione abbiamo assistito a Torino nel 1948, allorchè la nazionale italiana venne letteralmente umiliata - per insipienza tattica - da una nazionale inglese neppur tanto irresistibile. Swift si trovò in due situazioni pressoché disperate e seppe uscirne da grandissimo campione. Nel primo tempo, premendo gli italiani, si distese orizzontalmente e smanacciò via di sinistra una palla di Carapellese rabbiosamente incornata da pochi passi. Nel secondo, uscì incontro a Valentino Mazzola, liberatosi al gol, e seppe piazzarsi in modo che l'avversario, pure assai bravo, finì per tirargli addosso.

Swift era molto sobrio nello stile e si tuffava solo quando era strettamente necessario. L'agilità era un tantino il suo limite, ma il gigantismo gli consentiva interventi alti assolutamente impossibili agli altri portieri. Di lui ricordo un giudizio non molto gentile ma sostanzialmente giusto. Visto allenarsi e volare ad ogni minima occasione il francese Da Rui, molto portato al gioco plateale, Swift si rifiutò di commentare con parole diverse dalle seguenti: "Non è un portiere, è una scimmia". Il paragone era alquanto offensivo. Tuttavia Da Rui dimostrò di meritarselo in partita. Nonostante i voli avventurosi, fu battuto sette volte di seguito.

Swift non è stato affatto carino nei confronti d'un collega ma qui non si vuol fare moralismo. Della battuta si sarà pure pentito, in qualche occasione meno favorevole a lui: resta comunque il principio, classicamente inglese, che un portiere è costretto a volare, dunque a fare teatro, soltanto quando si trova mal piazzato. E’ questo un assioma del quale ci si dovrebbe ricordare sempre, dal momento che troppi se ne dimenticano spesso e volentieri. (1-continua)

Nessun commento: