16.4.04

Non dire El Rife (e Obodo) se non l'hai nel sacco

Pandiani, Walter Gerardo Urquiza. Attaccante del Deportivo La Coruna. 27 anni. Detto El Rifle. Solo i sudamericani sanno trovare soprannomi così esatti per i propri eroi. El rifle, detto così come si scrive, sembra un giustiziere da western messicano alla «brutti, sporchi e cattivi». La battuta «dovremo dare fino all'ultima goccia del nostro sangue, ma rimanere calmi», pronunciata da Pandiani prima della eroica sfida contro gli yankee milanisti in Champions League, avrebbe potuto scrivergliela Sergio Leone. Magari Che Guevara. Vabbè. Quasi. L'uomo che coi gol segnati alla Juventus e al Milan ha contribuito più di tutti all'eliminazione europea delle corazzate del calcio italiano è oggi celebrato da antimilanisti e antijuventini così: «Pandiani, se fossi gay ti amerei». Oppure: «Pandiani, Valeron, Luque e Fran , 4 ministeri per loro nel prossimo governo» (versione antiberlusconiana). Centravanti «opportunista e abile» secondo i tecnici (eufemismo per dire che se non segna gol vale poco), Pandiani è nato a Montevideo e ha indossato la gloriosa maglia del Penarol. Il piccolo mondo antico del calcio uruguagio è scritto tra le sue referenze principali: fu squalificato per dieci giornate nel 1999 per aver dato inizio a una megarissa durante la sfida tra il Penarol e i brasiliani del Flamengo in Coppa Mercosul, ennesima puntata di una rivalità che si perde nella notte dei tempi. Arrivò in Spagna subito dopo, e capì che la vita per lui sarebbe stata dura. Anzi no, lo sapeva già.

Al Deportivo del mistico allenatore basco Javier Irureta concorrevano per lo stesso posto di centravanti Roy Makaay, Diego Tristan e - ruota di scorta - lui. Il primo anno giocò soltanto in Champions League, ma riuscì ugualmente a piazzare un'impresa epica: la rimonta e l'eliminazione del Paris Saint Germain. Vinta la gara di andata a Parigi 3-1, il Depor si trovò sotto di tre gol in casa dopo 55'. Pandiani, ancora in panchina, durante il riscaldamento ebbe un illuminazione: «Non volevo dire niente, per non passare per pazzo. Poi dissi a un compagno `se entro segno tre gol'». Entrò. Segnò tre gol. Il Deportivo vinse 4-3 e passò il turno. I tifosi lo aspettarono all'uscita per gridargli «torero, torero».

Giocò il secondo anno in esilio al Real Mallorca, in coppia con Eto'o. Il giorno della sfida col Deportivo non si fece pregare: segnò tre gol alla squadra che non aveva trovato un posto per lui. Non festeggiò, come si usa in questi casi, ma l'anno successivo tornò a La Coruna. E qui, con Makaay venduto al Bayern, il rapporto con Tristan si incrinò quasi subito. Per due volte sostituito, Tristan si rifiutò di stringere la mano al suo compagno al momento di uscire dal campo. I giornali ci ricamarono sopra. Quando il quotidiano Marca dopo una brutta prestazione di Pandiani titolò «L'ora di Tristan», l'urugagio andò a cercare l'inviato presente allo stadio e lo attaccò al muro: «Tu giochi col pane della mia famiglia! - urlò perché tutti potessero sentire - Mi vuoi rubare i soldi! Ti spacco la faccia!».

El Rifle non nasconde mai la sua storia di figlio di famiglia povera, che rischiò di lasciare il calcio il giorno che morì suo padre e dovette cercare un lavoro per continuare a campare. Ora ha trovato un posto stabile in squadra; è un giocatore moderno che adora Enzo Francescoli e Micheal Jordan, gioca a pallavolo per migliorare il gioco aereo e a ping pong per rilassarsi, guarda volentieri film di fantascienza e balla la musica salsa. Ma non sembra aver dubbi sul come e dove cercare le motivazioni di cui spesso parlano gli allenatori-psicologi. Il bello di Pandiani - che bello non è - è il bello del calcio: it's over till it's over, non dire gatto se non l'hai nel sacco, la partita dura novanta minuti. E poi continua per tutta la vita.

Obodo, Christian Udubuesi. 19 anni. Centrocampista/playmaker del Perugia. In Perugia-Inter 2-3 di domenica scorsa, più che il dibattito sul fuorigioco di Adriano ho trovato esaltante la partita di Obodo. Questo ragazzo nigeriano, nato a Lagos, che gioca da Davids e studia da Jay Jay Ochocha, ha avuto sui piedi almeno tre palloni buonissimi: il primo l'ha mandato sul palo; il secondo - davanti al portiere dopo un triangolo da infarto con Fabiano - l'ha tirato addosso a Toldo; il terzo, un cross in mezzo all'area, gliel'ha rubato il vecchio Hubner che ha segnato.

Pescato chissà come dal Perugia nel club nigeriano Plateau United tre anni fa, da quando ha messo piede in serie A Obodo è sul taccuino delle grandi squadre, come si usa dire: Inter, Juve, Milan, Bayern, Arsenal. La sua mancata convocazione in nazionale per la recente Coppa d'Africa ha già scatenato il dibattito e la polemica nel lontano paese delle aquile e perciò auguriamo a lui ogni bene. Disse una volta Cosmi: «Vorrei rivedere la partita e fermarla su 4-5 giocate di Obodo. Sono da zoom». Forse voleva dire replay, ma ci siamo capiti. Era il 23 dicembre 2002, il giorno che il Perugia perse 1-0 con la Juve.

Quella sera in tv Gaucci si lasciò andare a una sfuriata memorabile e grottesca contro il suo centrocampista Baronio, del quale Obodo ha poi preso stabilmente il posto. Disse senza mezzi termini che Baronio - maglia numero 13 - giocava male e portava sfiga, rivelando che oltretutto prendeva 300 milioni al mese. Poi aggiunse: «Obodo guadagna in un anno un sesto di quello che Baronio prende in un mese. Ve li faccio io i calcoli: prende 50 milioni l'anno. Mi ha chiesto l'aumento. Ma è giovane. Gli ho spiegato che gli voglio bene e che non gli darò nessun aumento. Se gli dessi più soldi lo danneggerei viziandolo, perché i calciatori sono come i bambini». Il bambino Obodo. Avrà ottenuto quell'aumento, nel frattempo? Calcio, mistero agonistico senza fine bello.

Alberto Piccinini, Il Manifesto, 14 aprile 2004

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