È decisamente lo sport più bello del mondo. Perché? Non lo so, ma è così. Forse il motivo è quello spiegato da Zeman (in ogni piazza in ogni angolo del mondo c'è un bambino che gioca e si diverte con un pallone tra i piedi) o forse è solamente un caso. Ma non posso farci niente. È così.
Da piccolo mio padre era disperato perché non mi ci appassionavo. Preferivo vedere i cartoni animati alle partite della nazionale. Poi, a metà anni Ottanta vidi un'amichevole tra Italia e Argentina, credo fosse la Coppa Fair Play. Giocava Maradona. Come non appassionarsi? Da allora la mia vita è cambiata. Ogni domenica a vedere e rivedere tutti i gol. Ogni giorno a imparare i nomi più strani dei calciatori dei campionati stranieri. Ogni pomeriggio, da buon figlio unico, a giocare nella mia camera con una pallina da tennis (e quindi a rompere le finestre).
Poi la svolta con Zeman e la passione per la tattica. Che non uccide la tecnica o l'estro come dicono molti. Anzi dà la possibilità di vedere giocate più spettacolari (per informazioni chiedere a Van Basten e Totti). E il mio amore cresceva.
Un amore che mi ha portato anche a pensieri assurdi. Tipo: provare del dispiacere quando la mia squadra fa subito 4 gol perché vuol dire che la partita è chiusa. E vorrei vedere sempre una partita vera fino alla fine. Perché più della mia squadra io amo il calcio.
E come dimenticare le partite memorabili con gli amici. Le uniche che mi hanno fatto litigare a morte con le persone a cui voglio più bene.
Dopo tutto questo ieri sera davanti alla radio qualcuno mi ha detto: "Perché continuare ad andare allo stadio? Il calcio è finito".
No. Non è vero. Io non lo lascio a certi imbecilli il mio sport. No, non lo lascio.
Non lo lascio, ma mi sento un ostaggio.
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