4.5.04

Il portiere - 2° atto

Gli stessi allenatori tendono a trasformare i propri portieri in cascatori acrobatici. I loro allenamenti sono veri e propri assedi fra il penso e la tortura. I poveracci vengono chiamati a tuffarsi ora a destra ora a sinistra con applicazione che rasenta il sadismo. Né possono ribellarsi a questa legge, che li vuole volanti per elezione. Abbrancata in volo la palla, debbono preoccuparsi poi di cadere senza ammaccarsi troppo. Vi riescono seguendo la norma dei paracadutisti all'atterraggio: il primo contatto è ovviamente dei piedi (o del piede, per i portieri), il secondo è un armonioso assorbimento della botta con polpaccio esterno, ginocchio, coscia, gluteo, anca, gomito e spalla, con lieve anticipo del gomito e dell'avambraccio rispetto a quella delicata articolazione. L'allenamento del portiere è di durezza estrema. Tuttavia, è ben raro che la partita offra situazioni simili a quelle superate in allenamento secondo stile e voglia. L'allenamento è un fatto squisitamente tecnico: si tratta di affinare lo scatto, la sensibilità delle mani, il senso del tempo, l'abilità della caduta. In partita, quasi tutto cambia. Il tiro dell'avversario si può prevedere ma non è mai scontato come quello che effettua l'allenatore, di piede o addirittura di mano. La partita desta emozioni alle quali si può reagire solo d'istinto. E qui appare il coraggio, qui si definisce e qualifica la classe d'un portiere.

Lo stile serve il più delle volte a ingannare i gonzi, numerosissimi in ogni ordine di posti, a incominciare dalla panchina. I compagni non si curano affatto del modo, bensì della efficacia degli interventi. I compagni vogliono essere sicuri: né perdonano al portiere che esiti, mettendo in ancor più grave evidenza la loro colpa. Il discorso è veristico, non cinico. I difensori sono uomini, come tutti: se il portiere se la cava, un loro eventuale errore viene dimenticato fra gli applausi. Quando invece non se la cava, la scena è sovente grottesca, e si ripete eguale in tutti gli stadi del mondo: il portiere rimane in ginocchio e appare annichilito, ma ben presto reagisce a grandi gesti accusando questo o quel compagno che "non si è curato di marcare decentemente l'avversario".

In campo, i litigi sono spesso così acri da rasentare l'isteria. Il calcio è un lavoro in cui l'apparenza conta non meno della sostanza. Urlando improperi, un portiere appena battuto si illude di scaricarsi la coscienza e soprattutto i nervi. Né conviene dargli torto perché le cose possono anche peggiorare. Il portiere è un'anima sempre in pena: un mattocchio estroverso o introverso, a seconda dell'indole: se ha bisogno di sfogarsi lo si lascia dire; se rimugina in se’, può addirittura perdere il lume degli occhi. Sta di fatto che una partita influisce psicofisicamente sul portiere al punto da smagrirlo di due o tre chili, esattamente come succede ai suoi compagni che corrono. Anche stando fermi a soffrire ci si disidrata: e sudare da fermi non è mai bello.

Questo che ho detto riguarda il mestiere e le sue inevitabili crudezze: ma per solito il portiere viene amato dai compagni come nessuno. Quando gli fanno sgarbi, lo picchiano, lo spintonano, i compagni incattiviscono vistosamente: segno che vogliono bene all'ultimo difensore, quello che rischia quasi sempre per l'esito (e dunque per il premio, e in definitiva per la micca di tutti, il sacrosanto pane quotidiano).

Gianni Brera (2-continua, puntata precedente: 27 aprile 2004)

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