21.4.05

Punto di non ritorno

Nell'ultima settimana già tre persone mi hanno detto che si sono stufate del calcio. Ok, qui a Roma la situazione non è delle migliori: la Lazio sopravvissuta grazie alle amicizie politiche del suo presidente, la Roma che sta andando a rotoli in tutti i Sensi (società quindi parte tecnica). Ma non mi sembra che da altre parti l'andazzo sia migliore: a Milano si tirano razzi come se niente fosse, a Terni un bel po' di tifosi arrestati, a Firenze i supporter entrano negli spogliatoi, eccetera eccetera. Insomma un gran casino.

Provo ad analizzare: negli ultimi 15 anni, da quando cioé la maggior parte della gente non ha più passioni politiche (anche quelli più appassionati), il calcio ha smesso di entrare in politica ed è iniziato ad avvenire il contrario. Brutta storia perché il football è diventato troppo importante, se poi si aggiunge anche il valore economico che ha acquistato (maledetti diritti tv). E i tifosi, sempre ultima ruota (qualche volta bucata) del carro, sono stati invasi da questa rivoluzione, in parte non capendone l'entità (in molti non hanno i mezzi per farlo) e in parte rimanendo disgustati dall'eccessiva importanza politica, sociale e finanziaria che hanno 22 giovanotti in mutande che corrono su un campo verde.

Risultato: c'è chi come me che in una serata come quella di ieri (Roma-Siena 0-2) torna a casa pensando su tutto il Lungotevere a come sarebbe stato utile quest'anno il buon vecchio Damiano Tommasi e chi (di meno ma fanno molto più casino) si picchia selvaggiamente, con altri tifosi o con la polizia, spesso non sapendo neanche perché. Il problema è che non ci sono più valvole di sfogo alternative al calcio (Ma è lecito sperare, per esempio, nella rinascita di una passione politica? La vedo dura, molto dura).

Ora non voglio giustificare quegli idioti (leggasi tifosi) che ogni domenica creano problemi di ordine pubblico, ma se il calcio italiano (e non) ha iniziato a infastidire anche me c'è qualcosa che non va. Sicuro.

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