1.6.04

Il portiere - 6° (e ultimo) atto

Il portiere spagnolo Ricardo Zamora

Tramontato Buffon, ai primi posti affiorarono insieme Sarti e Vieri, che non ebbero adeguata fortuna in nazionale. Sarti era dotato di strabiliante senso della posizione e questo gli consentiva di trovarsi, miracolosamente, proprio là dove l'avversario indirizzava il tiro. Nonché ritenerlo in possesso di qualità mesmeriche, come Zamora, di lui si pensava che fosse pronto fino all'arguzia: ma questi atteggiamenti gli venivano sicuramente dalla struttura morfologica: nell'emergere improvvisamente e bloccare pareva che alla presa aggiungesse uno sberleffo.

Certo, lo stile di Sarti era ottimo, e però penava molto a conservarsi freddo e sempre presente a se stesso. Qualche volta lo era troppo, sicché pareva si risparmiasse di proposito. Negli ultimi anni i compagni erano giunti a dubitare un poco di lui, non sempre disposto a rischiare nelle uscite basse. In alto era splendido non meno che accorto, se è vero che non ha quasi mai gradito le respinte a pugni: o bloccava, molto plasticamente, o schiaffeggiava con ammirevole freddezza sopra la traversa. Certe sue bloccate in volo orizzontale, specie sulla destra, mi sono rimaste nella memoria come portentosi esempi di stile.

Il carattere di Sarti non era, a vero dire, leonino: egli dunque durò a lungo ma, giunto all'apice della carriera, decadde ben presto e sparì dalla grande ribalta nazionale. Al suo posto, fenomeno piuttosto curioso, assurse quello che per anni gli aveva fatto da riserva nella Fiorentina, Albertosi, che prese parte a due campionati mondiali, in Inghilterra nel 1966 e in Messico nel 1970.

Albertosi è alto e aitante. Il suo stile è sobrio senz'essere limitato. E' buono in alto non meno che a terra. Forse è un po' discontinuo e certo non dà mai l'impressione di compiere miracoli. II suo rendimento e sulla linea della miglior tradizione italiana: egli tuttavia non ha la costanza di Combi né la spericolata baldanza di Ceresoli o di Olivieri. La verita è che di grandissimi portieri non ne abbiamo avuti mai: parecchi hanno toccato apici di rendimento molto notevoli, nessuno ha saputo durare a lungo nella forma del campione autentico. Albertosi ha buona presa e notevole coraggio. Certe sue parate su tiri ravvicinati sono ammirevoli; in compenso, qualche volta si tuffa alla sversata, causando disastri.

Diverso stile ma non maggiore costanza dimostra il suo diretto rivale, Zoff, del quale peraltro è criticabile qualche uscita alta. Nel complesso, ha giornate migliori di entrambi l'interista Vieri, piuttosto portato ai voli appariscenti e perciò destinato a scontare più di tutti il minimo scadimento di forma. Vieri ha per giunta un carattere che definirei eufemisticamente estroverso: per questo non ha mai goduto della fiducia dei tecnici ufficiali. In Messico, all'ultimo mondiale, Vieri era forse preferibile ad Albertosi e a Zoff, tuttavia ha fatto da seconda riserva.

Due annate straordinarie, alla fine d'una carriera in fondo mediocre, ha avuto il vecchio e lungo Cudicini del Milan. Giocava a tennis con ottimi risultati a Trieste quando ha deciso di mettersi in porta, a vent'anni passati. Assunto e lanciato dalla Roma, ogni poco si ammaccava le anche per l'eccessiva magrezza. Quando ormai pareva finito, Nereo Rocco l'ha preso al Milan come riserva di Belli: scaduto il giovane, in un momento critico del campionato, Cudicini è entrato al suo posto ed ha contribuito in misura determinante alla conquista del nono scudetto rossonero.

A quest'annata monstre, l'ultratrentenne Cudicini detto Stralongo ne ha aggiunta un'altra non meno straordinaria, segnalandosi quale miglior portiere della Coppa Campioni. Gli stessi inglesi, ammirati, l'hanno battezzato "il ragno nero". In verità, ha parato l'imparabile senza mai assumere atteggiamenti men che composti. Lungo com'era, parava spesso di piedi i tiri bassi, sui quali non avrebbe avuto il tempo materiale di distendersi. In alto era pressoché imbattibile, e nelle uscite non ha mai dimostrato paura.

Proprio Cudicini ha convinto i critici che un portiere non sia mai da considerarsi maturo prima dei trent'anni. In effetti, solo gli anziani stanno compiendo prodezze nel campionato italiano. Un giovane, per solito, pecca per eccesso di esuberanza, e fallendo gli interventi più ambiziosi si può anche smontare; un anziano invece la sa più lunga, misura i propri gesti e impara a dominarsi. Nonostante questo, io penso che un portiere sia maturo quando è compiutamente atleta, non abbastanza giovane da apparire incompleto nel repertorio tecnico, non abbastanza anziano da perdere entusiasmo alla sua parte, sempre molto difficile e rischiosa.

Ho iniziato il capitolo affermando che portieri si nasce per quanto riguarda la predisposizione psicologica e la statura. Ovviamente, bisogna anche imparare a essere cascatori acrobatici, a effettuare prese e respinte, tuffi a terra e voli in altezza: ma neppure questo basta se al repertorio tecnico non si aggiunge una conoscenza direi anzi un'intuizione specifica dei momenti tattici: quando un'azione avversaria diventa pericolosa, dopo essersi distesa in un certo modo; quando è buono il piazzamento dei compagni e impeccabile la scelta di tempo nell'ultimo tackle o nello stacco decisivo. Essere bravissimi giocolieri e cascatori acrobatici senza capire il calcio giocato - dagli altri - con i piedi non giova più che tanto: ecco perché un portiere impiega anni a dimostrarsi completo.

Quando poi vi riesce, purtroppo è gia vecchio, e la saggia renitenza al teatro gli toglie immancabilmente la ingenua ammirazione del pubblico. Il portiere lo sa e se ne consola con assennata filosofia: nella sua lunga carriera ha avuto modo di conoscere tanta gente, in campo e fuori, in area e fuori area, che ormai gli sembra di saper tutto del calcio: né generalmente si illude. I portieri sono fra i più bravi allenatori una volta finita la carriera agonistica. La ragione è quella che ho detto: fra gli undici membri d'una squadra, sono proprio loro a poter vedere più calcio. Inoltre, sanno che cosa significa opporsi ai gol altrui: del dramma difensivo non gli sfuggono mai battute: e il primo. postulato del calcio è proprio questo: non prendere gol.

Gianni Brera (6-fine) Puntate precedenti: 1, 2, 3, 4 e 5.

Nessun commento: